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A CENA CON IL "TEATRO DEGLI SPECCHI" di Ivano Testa
Ricevetti un invito a cena: erano proprio dei bastardi!
Non puoi accedere al Teatro degli Specchi se non hai il coraggio di fissare il tuo volto dritto negli occhi, se non hai lo stomaco per poter reggere lo smembramento delle tue certezze, il crollo delle convinzioni su cui ti adagi, con le quali ti proteggi e dormi.
Ma proteggersi da cosa?
Dalla propria persona, da se stessi. Ecco, l'esperienza degli "specchi" è di certo un'esperienza collettiva, ma prima ancora auto referenziale, auto analitica, attraverso la quale -su quegli specchi- si chiarifica pian piano l'immagine di te stesso, del tuo “io” interiore, poliedrico e prismatico, frammentario, che ora si impaurisce, ora gode, ora desidera piangere, ora scalpita, vuole fuggire, gridare, ora si mostra compassionevole - vorrebbe consolare l'altro che gli sta accanto - ora si purifica con la morte altrui, ora è assetato di violenza, ira, trasgressione, ora tace in lunghi silenzi complici.
E' questa la grandezza della compagnia del Teatro degli Specchi: la capacità di canalizzazione. Una canalizzazione degli stati d'animo atta a scuotere le nostre coscienze fiacche e anestetizzate dalla quotidianità e dall'indifferenza; una “canalizzazione emotiva” la chiamerei. Ed è attraverso quest'arte del manipolare che nel corso della pièce ci si sente cullati come da una madre ed in altri momenti come sbattuti fuori dalla porta in una giornata di bufera a pedate nel culo!
“Bastardi a cena” è sì una rappresentazione teatrale che ci riporta negli anni di ferro e del terrore nazista, è un teatro della memoria, della tragedia, che infrange la “quarta parete”- come più volte è già stato detto - ma è anche un flusso teatrale, come un fiume, ora in piena, ora in ripida discesa, ora placido e ansante, tiepido, scottante, gelido.
Su questo fiume una zattera dalla quale la compagnia tende la mano e sulla quale siamo disposti a salpare, proiettati in una dimensione "altra", nella quale la nostra coscienza oscilla repentinamente tra stati euforici e disforici: un viaggio tra eros e thanatos, nel quale anzi Eros e Thanatos fungono da Caronte.
Sebbene il teatro degli specchi soffra le generalizzazioni poiché di indole indomita, dotato di un carattere “sui generis”, tenderei a classificarlo come teatro sperimentale, avanguardistico, pioniere; ma del resto tali definizioni non bastano.
La sete di sperimentazione di certo è forte, di sperimentare in primis su se stessi attraverso una continua rotazione dei ruoli teatrali che permette all'essenza artistica di rinascere, di rimanere sempre giovane, nuova, multiforme; insomma una materia teatrale che concede in primo luogo agli attori di “sperimentarsi”, di non annoiarsi, ergo di non annoiare mai. Ma soprattutto un sistema volto non al risalto individuale, bensì alla riuscita complessiva del lavoro: solo al teatro degli specchi puoi ritrovarti il monologatore al botteghino! Non è questo di certo un discredito ma il sintomo di una compagnia che si sacrifica a partire dal regista sino alla comparsa, dal monologo al botteghino, che si mostra democratica, paritaria, compatta e solidale come non molte famiglie. In secundis vi è la sperimentazione sull'uditorio: lo spettatore dall'inizio ( tra l'altro lo spettacolo "inizia prima ancora di iniziare") alla fine si sente ora una cavia, ora un privilegiato a cui è stato donato un momento di "vera vita". E' infatti nello stile degli Specchi voler testare i limiti del suo pubblico. La riproduzione di scenari asfittici, l'accalcarsi, il senso di oppressione, la suspance che fa parte di una missione evocativa che richiama gli spettri del ghetto, delle camere a gas, del lager, di una crudeltà extra-umana atterrisce e allo stesso tempo palesa una perdita di identità sia della vittima che del carnefice. All'interno del folle scenario nazista "l'uomo non è più uomo" (come ricorda Primo Levi), gli uomini sono meno che bestie, molto più che assassini: il dolore è privato di qualsivoglia logicità. All'interno di questa riflessione sul male universale anche l'ambientazione e la trama, sebbene di non fondamentale pregnanza, avvincono e stupiscono lo spettatore con colpi di scena e scenari inconsueti che non smettono di coinvolgere in prima persona il pubblico divenuto ora "co-attore".
Altra parola chiave per "Bastardi a cena" è infatti 'stravolgimento': solo all'interno degli Specchi il regista può divenire spettatore partecipe e inconsapevole, solo nella regione dei "bastardi" lo spettatore diviene attore che interferisce nel racconto, cambiando il corso degli eventi, opponendosi e pronunciando la sua battuta; solo in questo trip teatrale l'attore diventa scenografia, simbolo e logos puro, abbandonando la figura del personaggio per divenire essenzialità e teatro stesso nella metamorfosi della teatralizzazione in "realtà che irrompe nella realtà" a briglie sciolte, senza veli, senza alcuna precauzione. Quello attuato dal Teatro degli Specchi è una totale inversione dei ruoli teatrali, di un ordine tradizionale che con non curanza e genialità viene stravolto e plasmato a proprio piacimento e che soddisfa audacemente le nuove esigenze di modernità.
In altre parole la compagnia del Teatro degli Specchi propone uno spettacolo giovane e pregno di linfa vitale che in un connubio sapientemente giostrato riesce a coinvolgere il corpo fino alle fibre più profonde dell’anima. Fa ciò attraverso modulazioni musicali che vanno dal ballo sfrenato della rag-time e del be-bop al canto di preghiera sommesso e solenne. Fa ciò attraverso la trattazione di una materia teatrale che da spazio alla rappresentazione allegorica di un male universale, del pregiudizio, della “disumana umanità” dell’uomo e si sforza di far riflettere e ragionare ricordando. Fa ciò attraverso l’adempimento di un compito catartico e sacrale di cui il teatro si veste, e attraverso uno stile recitativo vorace, desideroso e insaziabile che si alimenta di pubblico - quasi a voler leggere la battuta negli occhi dello spettatore, quasi esso gliela suggerisca-.
“Bastardi a cena” è un invito che non delude, poiché al banchetto l’arte può nutrirsi del suo amatore e il suo amatore dell’arte. A cena con i bastardi si ama e ci si sente amati in reciprocità. Non per nulla tutto è coronato da un abbraccio finale in una estraneità così familiare che sconvolge.
FOTO by AMBRA FAVETTA